Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 18 ottobre 2012

Perché non si riesce a buttare via niente

«L’aut-aut tra avere ed essere non è un’alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l'avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che, per vivere, dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l'avere - e anzi l'avere sempre più - e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che “vale un milione di dollari”, come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l'essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla». Questo è l’incipit di Avere o essere scritto da Erich Fromm. E dunque, essere o avere? Partendo da questa domanda Randy O. Frost e Gail Steketee, clinici tra i massimi esperti in “disposofobia” (accumulo compulsivo) hanno pubblicato da qualche giorno Tengo tutto - Perché non si riesce a buttare via niente (Centro Studi Erickson editore). In effetti, basta dare un’occhiata nelle nostre case per rendersi conto che viviamo praticamente soffocati dagli oggetti. Abbiamo talmente tante cose per le mani che gli astuti designer hanno pensato bene di inventare un altro oggetto per liberarci appunto del superfluo: lo “svuota-tasche”. Dove diavolo lo metto questo? Ma sì, c’è lo svuota-tasche. E giù che si accumula altra robaccia. Ovviamente si tratta di oggetti che nella maggior parte dei casi non ci servono affatto. Merce acquistata senza pensarci, compulsivamente appunto, “perché può sempre essere utile”. Provate ad aprire con occhio distaccato i nostri armadi? Onesti però, basta con le ormai logore frasi fatte, soprattutto femminili, “Oddio, non ho nulla da mettermi”. Non ci crede più nessuno. E i nostri cassetti? Quelli più a portata di mano? Cercate qualcosa di specifico dentro questi ricettacoli di ciarpame? Non ci riuscirete, neanche con un microscopio elettronico. E le magliette da cinque euro, made in China?
Ma si, ne prendo qualcuna in più, tanto a questo prezzo…! E già, fa niente poi che alla prima sudata una dermatite stile “Fuoco di Sant’Antonio” ci fa grattare il culo fino all’Epifania. Siamo ormai immersi così inconsapevolmente in questo sistema consumistico, che non ci rendiamo più neanche conto di quello che facciamo, come viviamo. Siamo arrivati al punto che se non hai, non sei nessuno. Ci identifichiamo, senza accorgercene, con le cose che possediamo. E se dunque posseggo tante cose importanti e costose, sono una persona degna di stima. Terzani sosteneva che l’India non sarebbe mai stata stravolta dal sistema capitalistico-materialista, perché, a differenza dei paesi occidentali, aveva ancora il culto del povero. Questo lo scrisse molti anni fa. Voglio augurarmi che ciò sia ancora vero. Ricordo che da bambino accompagnavo mia madre al mini-market vicino a casa. Passando davanti ad una farmacia, venivo sempre rapito da un’autobotte dei pompieri in legno esposta in vetrina. Ma costava molti soldi, troppi per il portafogli di mia madre. E così, in cambio della promessa di essere buono, ricevevo la garanzia che da lì a breve avrei potuto avere quell’autobotte. Dopo un tempo che a me parve infinito, finalmente ricevetti questo regalo. E fu una gioia immensa, perché quel sogno era durato tanto, e l’aspettativa della felicità era cresciuta con forza dentro di me. Anzi, diciamola tutta, la vera gioia di quel regalo risiedeva tutta nell’attesa, nella speranza, nell’immaginare che prima o poi avrei posseduto quella meraviglia. E’ un po’ il concetto del “Sabato del villaggio”. Ovviamente poi, nel giro di qualche giorno l’autobotte divenne uno oggetto qualunque. Quasi privo di importanza. Ad ogni modo, restava l’idea forte di aver meritato qualcosa e non di averla ottenuta senza impegno e sacrificio. Ecco, bisognerebbe tornare un po’ a quei tempi. Ad ogni modo, se proprio devo essere sincero, anch’io sono malato di “disposofobia”. La mia malattia sono i libri. Ne ho a centinaia, sono ovunque e un giorno o l’altro mi soffocheranno nel sonno, lo so. Ma proprio non ne riesco a fare a meno. Direte, ma perché non ti iscrivi ad una biblioteca, così finito di leggere un volume lo riconsegni. E sì, bravi. E che malato sarei allora. La mia è una mania d’accumulo, una gelosia che non mi consente nemmeno di prestare un libro. Se per esempio, qualcuno a cui tengo mi chiede in prestito un volume, io prendo tempo, e piuttosto che darglielo vado in libreria e glielo compro. Roba da matti, vero. Ad ogni modo se è vera la nefasta teoria dell’identificazione oggetti posseduti-persona, preferisco un libro, piuttosto che un’automobile. Se non altro non ho problemi di parcheggio (salvo esaurimento mensole).

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